19 Ottobre 2017

Ettore Sottsass, itinerario in sei parole

Guardare al mondo di Ettore Sottsass dalla periferia del nostro angusto laboratorio, dalla nostra microscopica manifattura, ci fa sentire, ogni volta, come bambini che senza monetine scoprono le giostre per la prima volta. Una sensazione infantile di meraviglia che è sempre andata aumentando, quanto più siamo riusciti ad approfondirne la conoscenza.

Le sue creazioni hanno una speciale caratteristica che le fa aleggiare nell’aria, come dei microrganismi invisibili ad occhio nudo ma che tutti respiriamo ogni giorno; sono capaci di traghettare idee, favorire intuizioni, suggerire soluzioni. Oggi abbiamo l’ardire di parlare di Ettore Sottsass così come abbiamo avuto l’ardire di prendere ispirazione da alcune sue opere per le nostre collane. Vi preghiamo di perdonarcela questa audacia perché ben poche volte ce la concediamo e muove da un’ammirazione che può sembrare scontata e ovvia ma che per noi è speciale e abbiamo voglia di condividere.

Vi proponiamo una breve incursione nel mondo di questo famosissimo designer attraverso sei parole chiave, scelte con sfacciata parzialità e del tutto inadeguate a tracciare un profilo esaustivo di Sottsass. Sono quelle parole che per noi hanno una particolare vibrazione, quelle che richiamano aspetti che ci colpiscono più di altri e ce lo fanno amare, oltre che ammirare.

Torino
Nato in Austria, da padre architetto esponente del razionalismo europeo, Sottsass studia al Politecnico di Torino. Se qualcuno immagina questa città grigia e noiosa si sbaglia di brutto. In quel periodo circolano idee nuove, intellettuali e artisti straordinari, come Pavese, Gobetti, Edoardo Persico, Casorati, Carol Rama, i pittori del Gruppo dei Sei e moltissimi altri. E a Torino, in quel periodo, c’è anche Sottsass. Oltre al Politecnico, frequenta Luigi Spazzapan, artista geniale, fra i primi esponenti italiani dell’arte astratta, un tipo solitario e tormentato di cui la storia dell’arte, come spesso accade, si è accorta tardi.

Sperimentazione
Definirlo solo designer non restituisce la poliedricità della sua figura. Un nomade della creatività che lo fa essere incisore, pittore, architetto, scrittore, editore, fotografo. Un intellettuale a cui, su tutto, interessa la ricerca come ultimo fine. I presupposti su cui si basa la sperimentazione sono coraggio, indipendenza, curiosità, passione. Facile, no?!

Olivetti
Se c’è un’industria simbolo dell’eccellenza italiana e dell’impegno sociale è senz’altro l’Olivetti per la quale Sottsass viene chiamato, a circa 40 anni, come designer a disegnare gli “involucri” dei calcolatori. Il famoso modello di macchina da scrivere Olivetti Valentine del 1968 è Compasso d’Oro nel 1970. “Per Adriano Olivetti” dice Sottsass in un’intervista “il design non era una cipria per vendere di più, era un metaforizzare la responsabilità verso l’ambiente, verso la gente e verso il destino dell’oggetto. Una delle cose particolari della Olivetti era che non necessariamente puntava al cosiddetto business ma che aveva un profondo senso etico delle proprie responsabilità”.

Colori
Sottsass ha riempito il mondo di oggetti colorati. Sicuramente a suo agio fra le tonalità vivaci e sature tipiche della cultura Pop degli anni Cinquanta, Sottsass ha sempre manifestato un’attenzione particolare per i colori, per lui non sono un espediente decorativo ma un elemento sensoriale con il quale l’uomo entra in contatto con l’oggetto, al pari della materia o della luce.

Marginalità
Nell’approfondire la sua figura si scopre che Sottsass era un attento osservatore anche delle marginalità, di situazioni e oggetti che nella vita delle persone in genere non si vedono o vengono cancellati e per lui gli oggetti sono stati sempre metafora dell’esistenza. Un esempio? Nel dopoguerra pubblica un saggio sulle carte di imballaggio delle arance!

Ceramica
Sottsass afferma di provare un brivido erotico toccando una superficie di laminato perché la sente distante ed extraumana. Dal laminato alla ceramica il salto è altrettanto extraumano, eppure a lui è riuscito benissimo. La fascinazione per la ceramica inizia verso il 1956 e durerà moltissimi anni. Porterà alla creazione di oggetti che rimangono nella storia del design mondiale, fanno riferimento a forme archetipe, somigliano ad architetture misteriose.

I Gualandi non sanno se la ceramica è stato il materiale preferito di Sottsass ma ci piacerebbe immaginarlo. Quando abbiamo letto questo brano che riportiamo qui in basso abbiamo pensato per un attimo che fosse così.

“Le ceramiche sopportano tutto – la vecchia asciutta terracotta sopporta ogni cosa, sopporta le culture, come dicono gli etnologi, le società, la gente, i popoli, i reami, i sultanati e anche gli imperi: anche gli imperi degli Incas e dei Maya, anche quelli degli Arabi, gli imperi Mogul, anche le storie della Grecia, anche gli imperi della Cina, anche gli azzurri imperi della Cina stanno bene sulle spalle della ceramica, di quella ceramica “azzurra come il cielo dopo la pioggia, quando si vede tra gli squarci delle nuvole” […]

Il fatto è che gli imperi si possono anche contare per il colore della ceramica. Gli imperi hanno anche il colore della ceramica e se poi i professori raccontano le battaglie e fanno gli elenchi delle dinastie, perché neanche sanno i nomi degli imperatori, voi andate a leggere sulle ceramiche che tanto c’è tutto. C’è tutta la verità. Si aprono le stanze dove la gente vive, dove mangia, dove guarda la moglie e litiga, dove l’accarezza, dove la gente è stanca e dove si alza la mattina che sta bene e ha voglia di respirare l’aria e queste cose vere. Guardate le ceramiche e c’è tutto, come nelle poesie e nelle canzoni. C’è tutto e basta. Ci sono gli uomini senza divisa e senza armi seduti a chiacchierare con le ragazze, a bere il caffè, a mangiare la frutta, a guardare i fiori, a curare i pesci e anche a tenere nelle mani un oggetto prezioso – al tempo della primavera e al tempo dell’autunno, con la coscienza rara che è primavera e che è autunno”.

Ettore Sottsass, da “Ceramiche delle tenebre” 1963